venerdì 30 luglio 2010

Una Laurea

Non penso sia questo il caso. Certo l'importanza e il prestigio del nome e di certe parentele portano facilmente a considerazioni stupide; tuttavia, in questo caso, come prontamente dichiarato da parti autorevoli e obiettive, non hanno nessun fondamento le accuse di titolo indebito o rubato o non meritato, tanto che tutto si traduce in un autogol del professore che l'ha sollevato.

Comunque, anche se non applicabile in questo contesto, sono verità fondamentali questi tre fatti:
  1. le parole della professoressa («ogni parola è pietra, è posizione, è contributo alla chiarezza e all'onestà», va calibrata in base «a ruolo e contesto»);
  2. le carriere accademiche in Italia sembrano in molti casi sospette;
  3. sembra quasi evidente che amicizie e parenti di una certa importanza non so se aiutino, ma costituiscono sicuramente un buon trampolino di lancio ( si pensi alla sola pubblicità o all'immagine)

L'incompatibilità

Benissimo, e adesso espelleteci tutti. In questi giorni di mezza estate, imperversa sulla politica e le istituzioni lo tsunami del ridicolo. Proprio ridicole, prima che illogiche, sembrano le motivazioni contenute nel documento prodotto dalla direzione del partito.

A questo proposito ho trovato importanti le considerazioni di questo onorevole siciliano sul suo blog.

Questa evidente e profonda (spero) incompatibilità è sicuramente una nota di merito.
Spero vivamente, però, due cose: la prima che queste considerazioni e questi subbugli estivi non siano invece frutto di giochi opportunistici e non si risolvano, per la vita democratica e lo sviluppo economico del Paese, in sterili diatribe; mi piacerebbe che questo sia l'inizio di una nuova liberazione italiana, analoga a quella del triennio '43-'45, ma pacifica e parimenti efficace, che porti ad un rinnovamento delle istituzioni, delle persone, della cultura, della morale, della giustizia sociale e giudiziaria, dell'economia.

martedì 13 luglio 2010

Ti amo sorellina.

Riporto questa bellissima poesia scritta da Manuela per le nozze di Desirèe, in memoria del fratello Daniele, prematuramente scomparso all'età di 23 anni.

Ti ho desiderato fin quando non ti ho avuto tra le braccia e, da quel momento, lo scopo della mia vita è diventato quello di starti accanto e proteggerti.
Poi ho dovuto lasciarti per sempre, ma continuiamo ad essere uniti da un filo invisibile che solo io e te conosciamo.
Se io fossi ancora lì con te, la tua vita sarebbe la stessa, saresti sempre la sposa più bella che io abbia mai visto! Le cose che avresti voluto fare con me falle lo stesso perché io le vedrò; tutto ciò che avresti voluto dirmi lo conosco già perché ti ascolto tutte le volte che mi parli all'interno dei tuoi lunghi silenzi.
Tu non sarai mai sola perché io esisto dentro di te, nel profondo del tuo cuore. Ti amo sorellina.

venerdì 9 luglio 2010

La quadratura.


Ho sempre cercato di regolare e spiegare ogni cosa. Per esempio, ogni cosa che dico, da sempre, cerco di proferirla chiaramente, giocando con i toni e le pause, pesando le parole e cercando di essere preciso nel messaggio che voglio comunicare: cerco sempre la correttezza semantica e, a volte, anche quella sintattica, quando lo ritengo necessario.
Questo è un mio modo di mettere ordine nelle cose, in quanto penso che siamo invasi dall’entropia. Sia chiaro: non lo faccio per spirito di solidarietà verso l’universo, nè tantomeno perchè sono un masochista. Lo faccio perchè sono spinto inconsciamente a mostrare ordine quando di ordine nella mia vita, in teoria e in pratica, non ce ne sta neanche un po’. Niente. Manco il plasma.
Sempre preciso, obiettivo, razionale, critico e (non mi risparmio niente) anche noioso, antipatico, scortese. Per una lista completa, dovrei chiedere incessamentente alle persone che mi stanno vicino. In tal modo mi renderei ancora più rompiballe.
Insomma, da sempre alla ricerca della quadratura del cerchio, noto che nella mia vita invece non quadra nulla. Il giorno scorre inesorabilmente e velocemente, ma le azioni e le vicende personali che dovrebbero segnarne il fluire, sembrano inutili, vuote, di poca importanza.
Tante mete, poche quelle raggiunte e molte quelle apparentemente molto distanti. Tanti sogni (ad occhi aperti), ma con la paura, in certi momenti sconfortanti, che rimarranno tali. E intanto il tempo passa, ti rendi conto che più invecchi meno forza e voglia avrai di cambiare e costruire. E giù, sempre più giù; inizia la spirale viziosa che ti sfianca di più e ti affoga nella tua stessa stupidità.
Si, proprio stupidità. Perchè mi rendo conto che non è colpa della natura leopardiana o della società oppressiva fatta di homini, hominis lupi, come direbbe Locke al plurale. Il problema sono io, perchè mi rendo conto che se fossi meno str@@zo, meno composto, un po’ irrazionale, se mettessi un po’ di grinta in più in tutto qullo che faccio, anche in quelle cose quotidiane e ordinarie, senza per forza aspettare la grande occasione, mi accorgerei che le cose di sempre sono esse stesse importanti e possono portare a grandi risultati. In fondo lo sviluppo di un albero secolare parte da un minuscolo seme. Così lo stesso per le frequentazioni, i pensieri, gli studi, gli scritti.
Non è un ragionamento banale, anzi mi rendo conto che è valido. Solo che tra dire e il fare…

Le manganellate.

Riporto dal sito corriere.it, queste parole, come commento per i fatti drammatici di oggi:

Ai terremotati bisogna dare «risposte» e non «manganellate» ha detto il portavoce di Sinistra ecologia e libertà Nichi Vendola, commentando gli scontri di mercoledì mattina. «C’è l’Italia finta dei sogni di Berlusconi e dei suoi ministri, fatta di plastica e di set televisivi. C’è anche un’altra Italia, quella vera e reale – l’abbiamo vista oggi per le vie di Roma con le proteste dei disabili e delle loro famiglie, e con le proteste dei terremotati de L’Aquila – abbindolata dal sogno berlusconiano, presa in giro dal governo un attimo dopo aver spento i riflettori dei teatrini di posa tv. Un’Italia fatta di uomini e donne pacifica ma esasperata, che non ha più fiducia in questa destra allo sfascio». Aggiunge Vendola: «Questa Italia non si merita le manganellate, bensì risposte ed atti concreti da questo governo e il diritto di poter liberamente manifestare».

Avverto una sensazione, già da diversi giorni, come se qualcosa o qualcuno, instancabilmente, abbia deciso di dare delle spallate piccole ma decise a tutto l’ordine costituito, in modo da sovvertirlo.

Nel mio piccolo, spero ardentemente che tutto questo porcile venga raso al suolo, disinfettato e distrutto, e che possa finalmente instaurarsi un periodo aureo, fatto di prosperità, di giustizia sociale e giudiziaria, di informazione, di sviluppo e cultura, di pace e fratellanza.

Mi sa che sia più facile che mi esca il sei al superenalotto senza giocare nessuna schedina.

Il bavaglio


Oggi è il “no-bavaglio day”, ovvero la giornata nazionale, promossa dalla Fsni, in segno di protesta contro la legge sulle intercettazione al vaglio della Camera dei Deputati. Non sto qui a tessere lodi o critiche contro i promotori o i detrattori di queso disegno di legge. Voglio tuttavia cercare di capire, anche se propendo già verso una posizione, e fare un’analisi, sommaria ma obiettiva, sul testo del disegno approvato, con ricorso forzato alla fiducia, in Senato.

A mio avviso, il “difetto” del provvedimento non sta nella regolamentazione delle norme sulle intercettazioni, che comunque potrebbe sempre considerarsi come una serie di norme e restrizioni piuttosto discutibili che, in teoria, non ne esclude nessuna e nemmeno ostacola il magistrato nell’avviarne alcuna, ma in pratica si deve riconoscere l’aumento degli “ostacoli” per l’espletamento delle operazioni, come il colleggio dei tre magistrati preposti alla loro autorizzazione o il limite temporale dei 75 giorni.

Secondo me, il “vero pugno in bocca” che riceve la democrazia deriva dalle restrizioni notevoli e severe che si impongono a coloro i quali, per professione e/o spirito di giustizia, utilizzano le informazioni o le notizie di reato conseguenti agli sviluppi sulle intercettazioni per informare, ma anche sensibilizzare l’opinione pubblica su fatti e misfatti del nostro tempo. Qualora il disegno di legge entrasse nella normativa dello Stato, tutti gli operatori nel campo dell’informazione (editori, direttori, fotografi, giornalisti, blogger …), per ideologia personale, ma anche (e mi avvalgo del beneficio del dubbio) per viltà e collaborazionismo, hanno un “alibi”, oltre che un dovere, nel trasformare i mezzi di informazione in”armi di distrazione di massa” (seguendo la perifrasi che Tiziana Ferrario ha usato per il TG1). Da ciò, oltre al danno materiale e figurativo nel lavoro di tutti gli operatori dell’informazione, deriva anche un handicap per tutti i cittadini, di qualsiasi colore politico, che, espropriati della conoscenza, non possono applicare efficacemente il loro diritto di critica, costruttiva o detrattiva, nei confronti di tutti i soggetti che determinano lo sviluppo e il futuro politico, sociale, economico e culturale della nazione.

Tutte queste considerazioni, assieme agli sviluppi giudiziari di questi giorni e di questi mesi e a tutte le critiche, più o meno scevre da un colore politico, lasciamo un sostanziale “amaro in bocca”, dovuto alla sensazione che diverse persone vogliano, in un certo qual modo, influire se non influenzare le nostre scelte. In altre parole, renderci una massa di pecore.

Una mancanza.

Non capisco nulla. Ho studiato tanto, mi sono rivolto tante domande, a molte ho dato una risposta, ho sempre cercato di capire i fatti, gli eventi, gli atteggiamenti, i pensieri, le impressioni. Confidando nel meccanicismo scientifico, dove regna sovrano il principio di causa/effetto, ho sempre reputato che ogni cosa ha una spiegazione logica e razionale, non necessariamente matematica o semplice, ma matematicamente riconducibile a qualcosa che possa, oltre a spiegare, anche suggerire una possibile evoluzione o una serie diversamente probabile di scenari e situazioni nuove tutte legate e distinte, tutte logicamente inscindibili dall’evento considerato.

Tutto deve avere un senso, discutibile o comune, misterioso o evidente, segreto o notorio , semplice o complesso. E volendo cadere nella spirale estrema di spiegare anche questa stessa affermazione, anche a aquesta comunemente sensata affermazione possiamo dare senso; non occorrono costruzioni logiche così care ai matematici o calcoli indefinibili da ingegneri di laboratori specializzati, ma basta e avanza la comune esperienza, universalmente utilizzata quotidianamente per la comprensione dei fatti elementari della vita comune; essa è un mezzo assoluto, universale e completo e come tale dimostra l’evidenza della validità di tale affermazione: ogni cosa, ogni evento, ogni punto materiale o virtuale nello spazio-tempo di qualsiasi voglia dimensioni, segue un rigore logico. Si vede subito, nella meraviglia della natura e dell’universo, nella complessità dell’operare degli individui, nella perfezione di enti e oggetti che, naturali o artificiali, dimostrano la volontà ultima di seguire qualcosa o assecondare, anche a volte in maniera apparentemente imprecisa, un ordine stabilito. Lo stesso caos, appellativo di una serie di fenomeni complicatamente evoluti, appioppato (come se una definizione fosse una spiegazione!), da un osservatore sommario che volesse giustificarsi in partenza della sua limitata e umana capacità di comprendere, intuitivamente suscita una bellezza e un fascino altrettanto complessi e inspiegabili. Basta pensare alle imamgini colorate di frattali o le vorticose evoluzioni di un fluido in un altro.

Se tutto ha, quindi, una spiegazione che accontenti, anche se in parte, l’intelletto, allora quando ciò non avviene si ha frustrazione. L’infelicità che se ne produce non è quella infantile del bambino viziato che non può avere ciò che vuole o dell’adulto in astinenza che non ha ciò di cui ha bisogno; si tratta invece della consapevolezza inconscia che la mancanza di spiegazione comporta, oltre alla insoddisfazione per un bisogno fisico o intellettivo, anche all’impotenza di controllare e gestire l’evoluzione futura del fenomeno che si sta vivendo o osservando. Seguendo l’insegnamento baconiano, una mancanza di razionalità significa impotenza.